Diagnosi distorta: quando il problema non è la realtà, ma come la interpretiamo

Nel mondo sanitario, la diagnosi è un processo fondamentale.

Essa non riguarda solo l’identificazione di una malattia, ma anche il modo in cui un sintomo viene percepito, raccontato, interpretato.

Un errore di valutazione può generare trattamenti inefficaci o addirittura dannosi.

Ma cosa accade quando il “problema” non risiede tanto nella realtà oggettiva del sintomo, quanto nella rappresentazione soggettiva che ne diamo?

Proprio come nel campo clinico, anche nella vita quotidiana la sofferenza spesso non deriva direttamente dagli eventi, ma dall’interpretazione che ne facciamo.

Come suggerisce la citazione: “La maggior parte dei problemi umani origina da una particolare idea della realtà e non dalla realtà stessa”. 1

Questo vale anche nel rapporto con i pazienti: un dolore, un segnale corporeo, una diagnosi, assumono significati diversi a seconda delle lenti con cui vengono guardati.

Immaginiamo un paziente che riceve una diagnosi benigna, ma la interpreta come una condanna: il suo stato emotivo peggiora, il corpo si irrigidisce, il sonno si altera. Oppure pensiamo a un operatore sanitario che vive un turno critico non tanto per l’intensità oggettiva del lavoro, ma per la percezione di impotenza o giudizio che attribuisce a ciò che sta accadendo.

La realtà, come la clinica insegna, è fatta di segni e sintomi, ma è la narrazione attorno a essi che può amplificare il dolore o renderlo tollerabile.

Per questo diventa essenziale non solo “curare” ma anche “riconoscere” e, quando possibile, “riformulare”.

In ambito sanitario, ciò significa promuovere una comunicazione strategica, in sintonia con l’interlocutore e consapevole, capace di offrire chiavi di lettura più funzionali, che riducano la sofferenza e aiutino a generare risposte più adattive.

In definitiva, proprio come una diagnosi errata può portare a una terapia inutile, un’idea distorta della realtà può generare problemi che non esistono nella realtà oggettiva.

Ecco perché, nel lavoro di cura, è fondamentale accompagnare non solo i corpi, ma anche le rappresentazioni mentali ed emotive che i pazienti — e noi stessi — costruiamo giorno dopo giorno.

  1. Cit. tratta da: Le Tattiche del cambiamento. Manuale di psicoterapia strategica. E.M. Secci ↩︎

Chi siamo Raffaella Martini

Sono Raffaella Martini Infermiere Counsel Coach Strategico Libera Professionista, Affiliata Team Nardone Group, attenta in particolar modo alle organizzazioni sanitarie e tutto il loro mondo. Supporto gli esercenti la professione sanitaria nel gestire difficoltà, resistenze al cambiamento e nel raggiungimento di obiettivi. La mia vision: i problemi non finiscono mai ma neanche le soluzioni. Specializzata in: Problem Solving Strategico nelle organizzazioni sanitarie soluzioni semplici a problemi complessi promuovere benessere organizzativo attraverso il coaching; riconoscimento e gestione del burnout.

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